di Flavia Chiavelli

In questo primo mese del 2021, si sta assistendo a un decisivo e rilevante processo di cambio delle attuali leggi costituzionali riguardanti l’uso dell’aborto in America Latina.

Seguendo l’onda argentina che ha visto finalmente nell’ultimo giorno del 2020 l’approvazione da parte del Parlamento della legge di Interruzione Volontaria della Gravidanza, il Cile ha iniziato a mobilitarsi, istituendo una “Comision de Mujeres y Equidad de Genero (Commissione per le Donne e per la Parità dei Generi”) nel Congresso. Lo scopo di questa Commissione è la depenalizzazione dell’aborto volontario entro le 14 settimane di gravidanza. Il Congresso cileno si è quindi riunito lo scorso 13 gennaio, dando inizio a questa discussione fondamentale che è stata accompagnata da manifestazioni pacifiche nelle piazze di Valparaíso, dove migliaia di donne, al grido di “Aborto Libero, Sicuro e Gratuito”, hanno indossato i tipici fazzoletti verdi, ormai diventati il simbolo della lotta verso il riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi nei paesi latinoamericani.

Dei primi passi importanti per un paese che come il Cile continua ad essere caratterizzato da un governo fortemente conservatore che arranca ancora nel tema dei diritti civili. Infatti, il Cile è stato fino al 2017 uno dei pochi paesi in cui l’aborto era completamente proibito e penalizzato, senza eccezioni. Soltanto nel 2017 viene promulgata la legge che riconosce l’esclusiva permissività dell’aborto in tre precise circostanze: nel caso in cui la vita della madre sia a rischio, nel caso in cui la vita del feto sia impossibilitata e nel caso di violenza sessuale. L’attuale iter parlamentare è perciò da considerare fondamentale, specialmente perché i dati evidenziano che queste causali includono soltanto il tre percento di tutti gli aborti clandestini fatti nel paese, mostrando ancora una volta l’insufficienza legislativa che è tuttora presente in Cile. Sfortunatamente, un ulteriore scoglio sarà riuscire a superare l’accettazione del Senato, una difficoltà riportata da tutte le previsioni più accreditate che nonostante questo prevedono un voto favorevole della Camera.

Mentre si continua ad aspettare che altri paesi dell’America Latina inizino a essere dei concreti partecipanti di questa reazione a catena partita dall’Argentina, l’Honduras ha imposto un enorme ostacolo sulla strada per l’affermazione dei diritti riproduttivi delle donne, rendendo in pratica impossibile la depenalizzazione dell’aborto nel paese. Anche l’Honduras, come il Cile, è un paese cha ha una posizione di governo fortemente conservatrice, la cui Costituzione contiene una delle leggi contro l’aborto più aspre che esistano al mondo. Nel paese l’aborto è proibito e penalizzato anche in caso di violenza, in caso di rischio di vita della madre e del feto. L’articolo 67 della Costituzione infatti afferma che “è assolutamente vietata e illegale la pratica di qualsiasi forma di interruzione della vita del nascituro, la cui vita deve essere rispettata in ogni momento”. Una posizione davvero rigida per l’Honduras, che ricordiamo essere uno dei paesi latinoamericani ad avere il più alto tasso di gravidanze adolescenziali. Secondo le Nazioni Unite, infatti, in Honduras un parto su quattro riguarda una ragazza che ha meno di 19 anni.

Andando dunque “controcorrente”, lo scorso 20 gennaio il Congresso Nazionale dell’Honduras ha approvato con una sola riunione che ’articolo sopra menzionato “può essere riformato solo dalla maggioranza dei tre quarti dei membri del Parlamento”, clausola, quest’ultima, che secondo la deputata dell’opposizione Doris Gutierrez è stata inserita in quanto non sarà mai possibile avere i 96 voti sui 128 parlamentari. Oltretutto, la modifica apportata afferma che qualsiasi disposizione legale fatta in seguito alla presente sarà resa nulla e invalida, rendendo così “blindata” l’assoluta proibizione che esiste già ora nel paese.

Le diverse manifestazioni a favore dei diritti riproduttivi delle donne non hanno quindi potuto fermare questo progetto di legge davvero allarmante, che sta portando l’Honduras passi indietro sulla strada del riconoscimento dei diritti umani e delle libertà delle donne. Tuttavia la mobilitazione continua. In Honduras, il collettivo delle donne “Somos Muchas” e il movimento femminista “Visitacion Padilla” resistono, e rafforzano la loro lotta verso la depenalizzazione dall’aborto. Nel contempo, l’ONU ha fortemente espresso la propria preoccupazione verso questa riforma costituzionale e ha reiterato che essa “contravviene agli obblighi internazionali in materia di diritti umani”. Una posizione condivisa anche da altre associazioni come International Planned Parenthood Federation, Medici Senza Frontiere, Amnesty International e Human Rights Watch, che attraverso petizioni e articoli, continuano a tenere viva la battaglia anche a livello internazionale.