Giugno 2020 è il mese dell’RU486: due regioni confinanti si esprimono in maniera diametralmente opposta sulla somministrazione della pillola abortiva, ed è subito un dibattito nazionale. La regione Umbria, guidata da Donatella Tesei (Lega), ha abrogato una legge regionale a inizio giugno 2020 che impone alle donne che vogliono accedere all’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico di essere ricoverate tre giorni in ospedale.

Anziché andare avanti, nella direzione già indicata prima e durante l’emergenza sanitaria da Francia e Inghilterra (vedi news)*, la giunta di destra umbra ha trovato il modo per ostacolare le donne e coloro che offrono questo servizio, per ribadire la dichiarata vicinanza ai movimenti pro- vita e per andare contro tutte le linee guida in materia prodotte dall’OMS e da altre società scientifiche nazionali e internazionali. Subordinare l’aborto farmacologico a un regime di ricovero ospedaliero non solo è una costrizione per le donne, che non per forza hanno la possibilità di lasciare il lavoro, o figlie e figli, per tre giorni, ma è anche una spesa e una medicalizzazione inutile della procedura in questione, che in molti paesi avviene in regime ambulatoriale o in telemedicina. Ci sono donne per cui può essere senz’altro meglio recarsi in una struttura ed essere accompagnate passo-passo da professioniste, ma altre possono preferire le mura domestiche per vivere l’interruzione di gravidanza, sentendosi adeguatamente seguite e al sicuro grazie a una professionista disponibile per una visita o una telefonata. Le donne sanno che interrompere la loro gravidanza con il mifepristone non può essere subordinato a un ricovero forzato di tre giorni, né che questo possa essere un argomento politico da deliberare a porte chiuse, anti democraticamente come ha fatto la Tesei, e sono scese in più di mille in piazza a Perugia il 21 giugno, per ribadire che le scelte delle donne non sono contrattabili.


Pochi giorni dopo, la Toscana, in contrapposizione a questa deriva anti-scientifica umbra, approva una legge affinché l’aborto farmacologico si possa effettuare anche in regime ambulatoriale. Il presidente della regione Enrico Rossi ha dichiarato: “Solo chi intende punire le donne cerca di rendere loro le cose più difficili”. La Toscana diventa così la prima regione italiana a fare un passo per conformarsi alle linee guida internazionali in fatto di aborto farmacologico. Non stupisce, dato che ormai decenni fa è stata anche la prima ad occuparsi di un altro ambito della salute riproduttiva e sessuale: promuovendo in molti centri nascita una gestione più rispettosa, meno medicalizzata del travaglio e del parto
spontaneo. Dunque in Toscana si riesce a mettere insieme diversi aspetti della vita sessuale e riproduttiva delle donne: che avanguardia.


Noi ringraziamo Donatella Tesei per il suo lavoro, questo suo passo falso nel panorama della salute femminile ha permesso di aprire il dibattito, far sì che il Ministero ora prenda delle decisioni a riguardo; come Laiga abbiamo contribuito a organizzare il presidio avvenuto il 2 luglio a Roma, promosso dalla Rete Pro-Choice, a Piazza Castellani, per ribadire che siamo in attesa di miglioramenti e modifiche delle linee guida nazionali in materia di aborto e per portare le migliaia di firme raccolte nel corso della quarantena per chiedere un’estensione delle settimane in cui si può accedere all’RU486 (da 7 a 9), e favorire l’accesso in regime ambulatoriale come in Toscana.

Qui di seguito alcuni articoli dalle principali testate che hanno riportato le notizie

UMBRIA
huffingtonpost
repubblica
ilpost
thevision
ilfattoquotidiano

TOSCANA
rainews
ilfattoquotidiano